Storia degli imballaggi in acciaio

Alle origini della banda stagnata


La banda stagnata, il tipo di acciaio utilizzato per produrre gli imballaggi in questa materia, comincia a essere lavorata tra la fine del 1200 e primi anni del 1300 a Wunsiedel, una cittadina dell’Alta Franconia, a cui viene riconosciuto il diritto di fondere lo stagno, d’imprimervi il proprio marchio e di controllarne il commercio.
Tuttavia questa materia prima per imballaggio si afferma con decisione in tempi più recenti, precisamente tra la fine del 1700 e gli inizi del 1800, quando cioè viene studiata e sviluppata la tecnica della conservazione dei cibi in scatola. In quel periodo l’inglese Bryan Donkin – traendo spunto dal trattato di Nicolas Appert, che spiegava come ottenere una buona conservazione dei cibi in bottiglie di vetro grazie a una lunga bollitura a bagnomaria – decide di far proprio tale sistema, utilizzando però un diverso tipo di contenitore: la scatola di banda stagnata, appunto.

Approfittando anche del fatto che Appert non aveva brevettato il metodo (preoccupato com’era di pubblicare il trattato e di fare investimenti per il proprio laboratorio), Donkin e il suo socio John Hill sviluppano la tecnica che, in onore al suo inventore, è conosciuta ancora oggi come “Appertizzazione”. Donkin e Hill, al posto del vetro, utilizzano contenitori di banda stagnata, forti degli enormi progressi che la siderurgia inglese aveva compiuto nel XVIII secolo: dall’impiego del coke in altoforno (Abraham Darby, 1709) alla preparazione dell’acciaio (Benjamin Huntsman, 1760), fino all’invenzione del pudellaggio (Henry Cort, 1762) e subito dopo del laminatoio a energia idraulica.

Le prime fabbriche di conserve in scatola


Attorno al 1830 si consuma quindi il matrimonio tra i cibi destinati a essere conservati e la latta (termine che, in passato, indicava la banda stagnata e da cui deriva il nome lattina), che diventa un custode sicuro e affidabile. Da quel momento la diffusione dei cibi in scatola, delle bevande in lattina e, in un secondo tempo anche dei prodotti chimici, interessa progressivamente Stati Uniti, Europa e il mondo intero. Saranno gli inglesi a portare le scatolette nel Nuovo Mondo. Più precisamente Thomas Kensett nel 1812 e William Underwood nel 1817 fondano, rispettivamente a New York e a Boston, le prime fabbriche di conserve alimentari utilizzando però ancora scatolette importate dal Regno Unito. In America, le prime fabbriche di latta verranno infatti aperte solo nel 1870, precisamente a Cincinnati e Chicago, nelle vicinanze dei grandi allevamenti di suini e bovini.

Le scatolette sui campi di battaglia e nelle esplorazioni


I pregi della scatoletta vengono particolarmente apprezzati e sfruttati in modo estensivo sui campi di battaglia, dove viene considerata uno strumento insostituibile per il vettovagliamento. Durante la guerra di Crimea (1853-1856), i soldati inglesi scongiurano infatti il pericolo di contrarre lo scorbuto mangiando in sicurezza. La scatoletta si diffonde in modo massiccio tra gli eserciti nel corso dei due conflitti mondiali.

Il XIX secolo è il periodo delle grandi spedizioni a scopo esplorativo, un ambito in cui l’organizzazione della logistica è fondamentale per il successo di questi viaggi avventurosi e per la salvaguardia delle vite umane degli equipaggi e di tutti i partecipanti.    L’esploratore inglese John Ross è il primo, nella spedizione polare del 1818, a portare a bordo delle sue navi le scatolette di carne e verdure conservate di Donkin & Gable. All’epoca venivano inscatolati un tipo di minestra di verdure e quattro diversi tipi di carne di manzo. Anche nelle successive spedizioni polari le scatolette saranno a bordo delle navi. I viaggi polari sono lunghi e pieni di imprevisti; nel 1845 le navi di Sir John Franklin rimangono imprigionate tra i ghiacci. Per due anni, saranno 8.000 scatolette di verdure e carni conservate, presenti nella stiva, a sfamare gli uomini degli equipaggi.

L’industria alimentare italiana scopre la conservazione in scatola


In Italia il primato nella conservazione alimentare in scatola spetta a Francesco Cirio che, nel 1856, fonda a Torino uno dei primi stabilimenti. È invece Pietro Sada (nel 1881) il primo produttore di carne in scatola, utilizzando però imballaggi prodotti all’estero. Il primo fabbricante italiano di scatolette sarà Luigi Origoni (1890). Ai primi del ’900 l’olio d’oliva italiano confezionato in lattine sbarca in America portando nella cucina d’oltreoceano un po’ dei nostri sapori.

Gli italiani e il cibo in scatola


Dopo l’ultima guerra l’Italia viene letteralmente invasa dalle scatolette portate dai soldati americani: i grandi pacchi del Piano Marshall contengono scatolette di carne, biscotti e minestre pronte confezionante con contenitori d’acciaio. Gli alimenti in scatola, in principio associati a un regime di emergenza, nel dopoguerra entrano a far parte della vita degli italiani. Negli anni ’50 si diffonde l’uso dei pelati in scatola e dell’olio d’oliva, che in Italia sono prodotti per l’esportazione fin dall’inizio del secolo.

Nel 1960 in Italia si cominciano a consumare prodotti surgelati. Questo nuovo concorrente nell’industria della conservazione alimentare spinge a cercare nuove forme di impiego della scatoletta. Negli anni ’60 sul mercato italiano compaiono così nuovi prodotti in scatola: il tonno sott’olio, le bibite, la birra e le bombolette spray. A partire dalla fine degli anni ’70 anche il cibo per animali inizia a seguire la via della scatola di latta.

Le latte d’olio che, all’inizio del ’900, dall’Italia sbarcano nel nuovo continente portano insieme ai nostri sapori anche l’immagine dei nostri eroi e della nostra storia, stampate in litografie molto colorate: ecco così che con l’olio viaggiano i ritratti di Giuseppe Garibaldi, di Giuseppe Mazzini e del cantante Caruso, ma anche figurine ispirate alle opere più famose di Giuseppe Verdi come Rigoletto, Otello, Aida.

L’evoluzione della scatoletta


All’inizio della sua storia la scatoletta è nuda. Internamente lo stagno è a diretto contatto con il prodotto conservato mentre, all’esterno, una scritta stampata sul barattolo indica semplicemente il tipo di prodotto contenuto nella scatola.

Con il tempo gli studi sulla migrazione degli elementi metallici all’interno dei barattoli portano all’esigenza di isolare ulteriormente la parte stagnata dagli alimenti. Al tempo stesso si manifesta l’esigenza di abbellire esteriormente i barattoli perché, aumentando i prodotti conservati in scatola e aumentando le ditte che li producono e si rende necessario quindi distinguere le scatole, vestendole con etichette e disegni che attirino l’attenzione del pubblico.

Le scatole vengono verniciate, sia nella parte interna che nella parte esterna. Sulla parte esterna poi saranno impressi i disegni e i colori dell’etichetta. In questo modo l’oggetto-scatola diventa strumento di marketing, concepito per vendere il prodotto ma anche, in qualche modo, veicolo di una cultura dell’immagine che si diffonde attraverso l’imballaggio commerciale.

Per approfondire visita il sito RicreaEdu e visualizza il volume Lunga vita alla scatoletta.